Si può definire l’operatore sociale come persona con un background personale e culturale, con bisogni ed un sistema valoriale di riferimento, che vive con consapevolezza e secondo uno stile di vita corretto, mettendo al servizio delle persone la propria competenza.
Un professionista che lavora nella relazione d’aiuto in cui riveste il ruolo di co-protagonista. L’operatore media tra sé, altro, struttura e territorio. Il lavoro relazionale richiede una buona conoscenza di sé, dei propri valori, del proprio funzionamento in termini personali ed interpersonali e delle proprie risorse e criticità (consapevolezza).
Chi si avvicina al ruolo dell’operatore sociale, deve essere interessato all’altro, come un antropologo; il motore che lo deve muovere è la curiosità, la voglia, nell’ottica della condivisione, di “lavorare con” piuttosto che di “lavorare per”; è un esperto di metodo che si realizza nella relazione piuttosto che nell’utilizzo di tecniche relazionali, è in grado di restare aderente alla realtà dell’altro ed ha chiaro che i tempi di reazione variano da persona a persona.
Altro concetto primario è la responsabilità: l’operatore sociale è responsabile della comprensione e corretta analisi della domanda, della concretizzazione una relazione proficua, della creazione un clima accogliente.
È corresponsabile dell’attuazione del processo di cambiamento dell’utente.
La sfida professionale irrinunciabile è la considerazione dell’operatore sociale come osservatore co-protagonista del percorso relazionale, parte integrante del sistema in cui si trova ad agire, non più considerato come unico esperto, portatore di tecnicità e saperi teorici, ma persona con una propria storia e biografia; la relazione offerta non è più gerarchica e verticale, ma diviene orizzontale conducendo il processo di aiuto ad un incontro dialogico compartecipato… “mostravo le mie emozioni, fino, talvolta, al pianto. Chiamavo questo mio modo di lavorare “terapia sentimentale” (…) cominciai a cercare nuove strade per far sentire i clienti a proprio agio. Quando era il caso raccontavo loro storie della mia vita… se mi sentivo in difficoltà, specialmente se qualche mio problema personale sembrava intrufolarsi nel percorso comune, ne parlavo apertamente, e spesso ottenendo buoni risultati” (Hoffman 1992, trad. it. p.21).
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